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ottavo 159


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     Egli, ch’allato avea una tasca, aprilla,
e trassene una ampolla di liquore;
e negli occhi possenti, onde sfavilla
la piú cocente face ch’abbia Amore,
spruzzò di quel leggiermente una stilla,
che di farla dormire ebbe valore.
Giá resupina ne l’arena giace
a tutte voglie del vecchio rapace.

49
     Egli l’abbraccia et a piacer la tocca,
et ella dorme e non può fare ischermo.
Or le bacia il bel petto, ora la bocca;
non è ch’il veggia in quel loco aspro et ermo.
Ma ne l’incontro il suo destrier trabocca;
ch’al disio non risponde il corpo infermo:
era mal atto, perché avea troppi anni;
e potrá peggio, quanto piú l’affanni.

50
     Tutte le vie, tutti li modi tenta,
ma quel pigro rozzon non però salta.
Indarno il fren gli scuote, e lo tormenta;
e non può far che tenga la testa alta.
Al fin presso alla donna s’addormenta;
e nuova altra sciagura anco l’assalta:
non comincia Fortuna mai per poco,
quando un mortal si piglia a scherno e a gioco.

51
     Bisogna, prima ch’io vi narri il caso,
ch’un poco dal sentier dritto mi torca.
Nel mar di tramontana invêr l’occaso,
oltre l’Irlanda una isola si corca,
Ebuda nominata; ove è rimaso
il popul raro, poi che la brutta orca
e l’altro marin gregge la distrusse,
ch’in sua vendetta Proteo vi condusse.