Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. I, 1928 – BEIC 1737380.djvu/193

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cando nono 187


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     Il cavallier d’Anglante, ove piú spesse
vide le genti e l’arme, abbassò l’asta;
et uno in quella e poscia un altro messe,
e un altro e un altro, che sembrâr di pasta;
e fin a sei ve n’infilzò, e li resse
tutti una lancia: e perch’ella non basta
a piú capir, lasciò il settimo fuore
ferito sí, che di quel colpo muore.

69
     Non altrimente ne l’estrema arena
veggián le rane de canali e fosse
dal cauto arcier nei fianchi e ne la schiena,
l’una vicina all’altra, esser percosse;
né da la freccia, fin che tutta piena
non sia da un capo all’altro, esser rimosse.
La grave lancia Orlando da sé scaglia,
e con la spada entrò ne la battaglia.

70
     Rotta la lancia, quella spada strinse,
quella che mai non fu menata in fallo;
e ad ogni colpo, o taglio o punta, estinse
quando uomo a piedi, e quando uomo a cavallo:
dove toccò, sempre in vermiglio tinse
l’azzurro, il verde, il bianco, il nero, il giallo.
Duolsi Cimosco che la canna e il fuoco
seco or non ha, quando v’avrian piú loco.

71
     E con gran voce e con minaccie chiede
che portati gli sian, ma poco è udito;
che chi ha ritratto a salvamento il piede
ne la cittá, non è d’uscir piú ardito.
Il re frison, che fuggir gli altri vede,
d’esser salvo egli ancor piglia partito:
corre alla porta, e vuole alzare il ponte;
ma troppo è presto ad arrivare il conte.