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quintodecimo 333


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     Lungo il fiume Traiano egli cavalca
su quel destrier ch’al mondo è senza pare,
che tanto leggiermente e corre e valca,
che ne l’arena l’orma non n’appare:
l’erba non pur, non pur la nieve calca;
coi piedi asciutti andar potria sul mare;
e sí si stende al corso, e sí s’affretta,
che passa e vento e folgore e saetta.

41
     Questo è il destrier che fu de l’Argalia,
che di fiamma e di vento era concetto;
e senza fieno e biada, si nutria
de l’aria pura, e Rabican fu detto.
Venne, seguendo il duca la sua via,
dove dá il Nilo a quel fiume ricetto;
e prima che giugnesse in su la foce,
vide un legno venire a sé veloce.

42
     Naviga in su la poppa uno eremita
con bianca barba, a mezzo il petto lunga,
che sopra il legno il paladino invita,
e: — Figliuol mio (gli grida da la lunga),
se non t’è in odio la tua propria vita,
se non brami che morte oggi ti giunga,
venir ti piaccia su quest’altra arena;
ch’a morir quella via dritto ti mena.

43
     Tu non andrai piú che sei miglia inante,
che troverai la sanguinosa stanza
dove s’alberga un orribil gigante
che d’otto piedi ogni statura avanza.
Non abbia cavallier né vïandante
di partirsi da lui, vivo, speranza:
ch’altri il crudel ne scanna, altri ne scuoia,
molti ne squarta, e vivo alcun ne ’ngoia.