Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. I, 1928 – BEIC 1737380.djvu/42

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36 canto


56
     Splende lo scudo a guisa di piropo,
e luce altra non è tanto lucente.
Cadere in terra allo splendor fu d’uopo
con gli occhi abbacinati, e senza mente.
Perdei da lungi anch’io li sensi, e dopo
gran spazio mi riebbi finalmente;
né piú i guerrier né piú vidi quel nano,
ma vòto il campo, e scuro il monte e il piano.

57
     Pensai per questo che l’incantatore
avesse amendui colti a un tratto insieme,
e tolto per virtú de lo splendore
la libertade a-lloro, e a me la speme.
Cosí a quel loco, che chiudea il mio core,
dissi, partendo, le parole estreme.
Or giudicate s’altra pena ria,
che causi Amor, può pareggiar la mia. —

58
     Ritornò il cavallier nel primo duolo,
fatta che n’ebbe la cagion palese.
Questo era il conte Pinabel, figliuolo
d’Anselmo d’Altaripa, maganzese;
che tra sua gente scelerata, solo
leale esser non volse né cortese,
ma ne li vizii abominandi e brutti
non pur gli altri adeguò, ma passò tutti.

59
     La bella donna con diverso aspetto
stette ascoltando il Maganzese cheta;
che come prima di Ruggier fu detto,
nel viso si mostrò piú che mai lieta:
ma quando sentí poi ch’era in distretto,
turbossi tutta d’amorosa pieta;
né per una o due volte contentosse
che ritornato a replicar le fosse.