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106 canto


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     Stato era il cavallier sempre in un canto,
che la decina in piazza avea condutta;
però che contra un solo andar con tanto
vantaggio opra gli parve iniqua e brutta.
Or che per una man tôrsi da canto
vide sí tosto la compagna tutta,
per dimostrar che la tardanza fosse
cortesia stata e non timor, si mosse.

89
     Con man fe’ cenno di volere, inanti
che facesse altro, alcuna cosa dire;
e non pensando in sí viril sembianti
che s’avesse una vergine a coprire,
le disse: — Cavalliero, omai di tanti
esser déi stanco, c’hai fatto morire;
e s’io volessi, piú di quel che sei,
stancarti ancor, discortesia farei.

90
     Che ti riposi insino al giorno nuovo,
e doman torni in campo, ti concedo.
Non mi fia onor se teco oggi mi pruovo,
che travagliato e lasso esser ti credo. —
— Il travagliare in arme non m’è nuovo,
né per sí poco alla fatica cedo
(disse Marfisa); e spero ch’a tuo costo
io ti farò di questo aveder tosto.

91
     De la cortese offerta ti ringrazio,
ma riposare ancor non mi bisogna;
e ci avanza del giorno tanto spazio,
ch’a porlo tutto in ozio è pur vergogna. —
Rispose il cavallier: — Fuss’io sí sazio
d’ogn’altra cosa che ’l mio core agogna,
come t’ho in questo da saziar; ma vedi
che non ti manchi il dí piú che non credi. —