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146 canto


136
     E sí spesso dipinto di Zerbino
le avea il bel viso e le fattezze conte,
ch’ora udendol parlare, e piú vicino
gli occhi alzandogli meglio ne la fronte,
vide esser quel per cui sempre meschino
fu d’Issabella il cor nel cavo monte;
che di non veder lui piú si lagnava,
che d’esser fatta ai malandrini schiava.

137
     La vecchia, dando alle parole udienza,
che con sdegno e con duol Zerbino versa,
s’avede ben ch’egli ha falsa credenza
che sia Issabella in mar rotta e sommersa:
e ben ch’ella del certo abbia scïenza,
per non lo rallegrar, pur la perversa
quel che far lieto lo potria, gli tace,
e sol gli dice quel che gli dispiace.

138
     — Odi tu (gli disse ella), tu che sei
cotanto altier, che sí mi scherni e sprezzi,
se sapessi che nuova ho di costei
che morta piangi, mi faresti vezzi:
ma piú tosto che dirtelo, torrei
che mi strozzassi o fêssi in mille pezzi;
dove, s’eri vêr me piú mansueto,
forse aperto t’avrei questo secreto. —

139
     Come il mastin che con furor s’aventa
adosso al ladro, ad achetarsi è presto,
che quello o pane o cacio gli appresenta,
o che fa incanto approprïato a questo;
cosí tosto Zerbino umil diventa,
e vien bramoso di sapere il resto,
che la vecchia gli accenna che di quella,
che morta piange, gli sa dir novella.