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ventesimoterzo 205


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     Di voce in voce e d’una in altra orecchia
il grido e ’l bando per la terra scorse,
fin che l’udí la scelerata vecchia
che di rabbia avanzò le tigri e l’orse;
e quindi alla ruina s’apparecchia
di Zerbino, o per l’odio che gli ha forse,
o per vantarsi pur che sola priva
d’umanitade in uman corpo viva;

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     o fosse pur per guadagnarsi il premio:
a ritrovar n’andò quel signor mesto;
e dopo un verisimil suo proemio,
gli disse che Zerbin fatto avea questo:
e quel bel cinto si levò di gremio,
che ’l miser padre a riconoscer presto,
appresso il testimonio e tristo uffizio
de l’empia vecchia, ebbe per chiaro indizio.

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     E lacrimando al ciel leva le mani,
che ’l figliuol non sará senza vendetta.
Fa circundar l’albergo ai terrazzani;
che tutto ’l popul s’è levato in fretta.
Zerbin che gli nimici aver lontani
si crede, e questa ingiuria non aspetta,
dal conte Anselmo, che si chiama offeso
tanto da lui, nel primo sonno è preso;

51
     e quella notte in tenebrosa parte
incatenato, e in gravi ceppi messo.
Il sole ancor non ha le luci sparte,
che l’ingiusto supplicio è giá commesso:
che nel loco medesimo si squarte,
dove fu il mal c’hanno imputato ad esso.
Altra esamina in ciò non si facea:
bastava che ’l signor cosí credea.