Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. II, 1928 – BEIC 1738143.djvu/219

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ventesimoterzo 213


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     Orlando a tradimento gli diè morte:
ben so che non potea farlo altrimente. —
Il conte piú non tacque, e gridò forte:
— E tu e qualunque il dice, se ne mente.
Ma quel che cerchi t’è venuto in sorte:
io sono Orlando, e uccisil giustamente;
e questa è quella spada che tu cerchi,
che tua sará, se con virtú la merchi.

81
     Quantunque sia debitamente mia,
tra noi per gentilezza si contenda:
né voglio in questa pugna ch’ella sia
piú tua che mia; ma a un arbore s’appenda.
Levala tu liberamente via,
s’avvien che tu m’uccida o che mi prenda. —
Cosí dicendo, Durindana prese,
e ’n mezzo il campo a un arbuscel l’appese.

82
     Giá l’un da l’altro è dipartito lunge,
quanto sarebbe un mezzo tratto d’arco:
giá l’uno contra l’altro il destrier punge,
né de le lente redine gli è parco:
giá l’uno e l’altro di gran colpo aggiunge
dove per l’elmo la veduta ha varco.
Parveno l’aste, al rompersi, di gielo;
e in mille scheggie andâr volando al cielo.

82
     L’una e l’altra asta è forza che si spezzi;
che non voglion piegarsi i cavallieri,
i cavallier che tornano coi pezzi
che son restati appresso i calci interi.
Quelli, che sempre fur nel ferro avezzi,
or, come duo villan per sdegno fieri
nel partir acque o termini de prati,
fan crudel zuffa di duo pali armati.