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canto ventesimoquarto 235


28
     Ringraziolo anco, che la tua Issabella
io veggo (e non so come) che teco hai;
di cui, per opra del fellon, novella
pensai che non avessi ad udir mai. —
Zerbino ascolta Almonio e non favella,
fermando gli occhi in Odorico assai;
non sí per odio, come che gl’incresce
ch’a sí mal fin tanta amicizia gli esce.

29
     Finito ch’ebbe Almonio il suo sermone,
Zerbin riman gran pezzo sbigottito,
che chi d’ogn’altro men n’avea cagione,
sí espressamente il possa aver tradito.
Ma poi che d’una lunga ammirazione
fu, sospirando, finalmente uscito,
al prigion domandò se fosse vero
quel ch’avea di lui detto il cavalliero.

30
     Il disleal con le ginocchia in terra
lasciò cadersi, e disse: — Signor mio,
ognun che vive al mondo pecca et erra:
né differisce in altro il buon dal rio,
se non che l’uno è vinto ad ogni guerra
che gli vien mossa da un piccol disio;
l’altro ricorre all’arme e si difende,
ma se ’l nimico è forte, anco ei si rende.

31
     Se tu m’avessi posto alla difesa
d’una tua ròcca, e ch’al primiero assalto
alzate avessi, senza far contesa,
degl’inimici le bandiere in alto;
di viltá, o tradimento, che piú pesa,
sugli occhi por mi si potria uno smalto:
ma s’io cedessi a forza, son ben certo
che biasmo non avrei, ma gloria e merto.