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386 canto


28
     All’atto incomparabile e stupendo,
dal cielo il Creator giú gli occhi volse,
e disse: — Piú di quella ti commendo,
la cui morte a Tarquinio il regno tolse;
e per questo una legge fare intendo
tra quelle mie, che mai tempo non sciolse,
la qual per le inviolabil’acque giuro
che non muterá seculo futuro.

29
     Per l’avvenir vo’ che ciascuna ch’aggia
il nome tuo, sia di sublime ingegno,
e sia bella, gentil, cortese e saggia,
e di vera onestade arrivi al segno:
onde materia agli scrittori caggia
di celebrare il nome inclito e degno;
tal che Parnasso, Pindo et Elicone
sempre Issabella, Issabella risuone. —

30
     Dio cosí disse, e fe’ serena intorno
l’aria, e tranquillo il mar piú che mai fusse.
Fe’ l’alma casta al terzo ciel ritorno,
e in braccio al suo Zerbin si ricondusse.
Rimase in terra con vergogna e scorno
quel fier senza pietá nuovo Breusse;
che poi che ’l troppo vino ebbe digesto,
biasmò il suo errore, e ne restò funesto.

31
     Placare o in parte satisfar pensosse
a l’anima beata d’Issabella,
se, poi ch’a morte il corpo le percosse,
desse almen vita alla memoria d’ella.
Trovò per mezzo, acciò che cosí fosse,
di convertirle quella chiesa, quella
dove abitava e dove ella fu uccisa,
in un sepolcro; e vi dirò in che guisa.