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CANTO TRENTESIMOPRIMO


1
     Che dolce piú, che piú giocondo stato
saria di quel d’un amoroso core?
che viver piú felice e piú beato,
che ritrovarsi in servitú d’Amore?
se non fosse l’uom sempre stimulato
da quel sospetto rio, da quel timore,
da quel martír, da quella frenesia,
da quella rabbia detta gelosia.

2
     Però ch’ogni altro amaro che si pone
tra questa soavissima dolcezza,
è un augumento, una perfezïone,
et è un condurre amore a piú finezza.
L’acque parer fa saporite e buone
la sete, e il cibo pel digiun s’apprezza:
non conosce la pace e non l’estima
chi provato non ha la guerra prima.

3
     Se ben non veggon gli occhi ciò che vede
ognora il core, in pace si sopporta.
Lo star lontano, poi quando si riede,
quanto piú lungo fu, piú riconforta.
Lo stare in servitú senza mercede
(pur che non resti la speranza morta)
patir si può: che premio al ben servire
pur viene al fin, se ben tarda a venire.