Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. III, 1928 – BEIC 1739118.djvu/108

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102 canto


4
     Ma non ebbe e non ha mano né lingua,
formando in voce o discrivendo in carte
(quantunque il mal, quanto può, accresce e impingua,
e minuendo il ben va con ogni arte),
poter però, che de le donne estingua
la gloria sí, che non ne resti parte;
ma non giá tal, che presso al segno giunga,
né ch’anco se gli accosti di gran lunga:

5
     ch’Arpalice non fu, non fu Tomiri,
non fu chi Turno, non chi Ettor soccorse;
non chi seguita da Sidonii e Tiri
andò per lungo mare in Libia a porse;
non Zenobia, non quella che gli Assiri,
i Persi e gl’Indi con vittoria scórse:
non fur queste e poch’altre degne sole,
di cui per arme eterna fama vole.

6
     E di fedeli e caste e saggie e forti
stato ne son, non pur in Grecia e in Roma,
ma in ogni parte ove fra gl’Indi e gli Orti
de le Esperide il Sol spiega la chioma:
de le quai sono i pregi agli onor morti,
sí ch’a pena di mille una si noma;
e questo, perché avuto hanno ai lor tempi
gli scrittori bugiardi, invidi et empi.

7
     Non restate però, donne, a cui giova
il bene oprar, di seguir vostra via;
né da vostra alta impresa vi rimuova
tema che degno onor non vi si dia:
che, come cosa buona non si trova
che duri sempre, cosí ancor né ria.
Se le carte sin qui state e gl’inchiostri
per voi non sono, or sono a’ tempi nostri.