Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. III, 1928 – BEIC 1739118.djvu/172

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166 canto


44
     Stese le mani, et abbracciar lo volle,
e insieme domandar perché venía;
ma di poterlo far tempo gli tolle
il campo ch’in disordine fuggia
dinanzi a quel baston che ’l nudo folle
menava intorno, e gli facea dar via.
Fiordiligi mirò quel nudo in fronte,
e gridò a Brandimarte: — Eccovi il conte! —

45
     Astolfo tutto a un tempo, ch’era quivi,
che questo Orlando fosse, ebbe palese
per alcun segno che dai vecchi divi
su nel terrestre paradiso intese.
Altrimente restavan tutti privi
di cognizion di quel signor cortese;
che per lungo sprezzarsi, come stolto,
avea di fera, piú che d’uomo, il volto.

46
     Astolfo per pietá che gli tradisse
petto e il cor, si volse lacrimando;
et a Dudon (che gli era appresso) disse,
et indi ad Oliviero: — Eccovi Orlando! —
Quei gli occhi alquanto e le palpèbre fisse
tenendo in lui, l’andâr raffigurando;
e ’l ritrovarlo in tal calamitade,
gli empí di maraviglia e di pietade.

47
     Piangeano quei signor per la piú parte:
sí lor ne dolse, e lor ne ’ncrebbe tanto.
— Tempo è (lor disse Astolfo) trovar arte
di risanarlo, e non di fargli il pianto. —
E saltò a piedi, e cosí Brandimarte,
Sansonetto, Oliviero e Dudon santo;
e s’aventaro al nipote di Carlo
tutti in un tempo; che volean pigliarlo.