Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. III, 1928 – BEIC 1739118.djvu/259

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quarantesimoterzo 253


8
     Che come Adam, poi che gustò del pomo
che Dio con propria bocca gl’interdisse,
da la letizia al pianto fece un tomo,
onde in miseria poi sempre s’afflisse;
cosí, se de la moglie sua vuol l’uomo
tutto saper quanto ella fece e disse,
cade de l’allegrezze in pianti e in guai,
onde non può piú rilevarsi mai. —

9
     Cosí dicendo il buon Rinaldo, e intanto
respingendo da sé l’odiato vase,
vide abondare un gran rivo di pianto
dagli occhi del signor di quelle case,
che disse, poi che racchetossi alquanto:
— Sia maledetto chi mi persuase
ch’io facesse la prova, ohimè! di sorte,
che mi levò la dolce mia consorte.

10
     Perché non ti conobbi giá dieci anni,
sí che io mi fossi consigliato teco,
prima che cominciassero gli affanni,
e ’l lungo pianto onde io son quasi cieco?
Ma vo’ levarti da la scena i panni;
che ’l mio mal vegghi, e te ne dogli meco:
e ti dirò il principio e l’argumento
del mio non comparabile tormento.

11
     Qua su lasciasti una cittá vicina,
a cui fa intorno un chiaro fiume laco,
che poi si stende e in questo Po declina,
e l’origine sua vien di Benaco.
Fu fatta la cittá, quando a ruina
le mura andar de l’agenoreo draco.
Quivi nacque io di stirpe assai gentile,
ma in pover tetto e in facultade umíle.