Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. III, 1928 – BEIC 1739118.djvu/260

Da Wikisource.
254 canto


12
     Se Fortuna di me non ebbe cura
sí che mi desse al nascer mio ricchezza,
al diffetto di lei supplí Natura,
che sopra ogni mio ugual mi diè bellezza.
Donne e donzelle giá di mia figura
arder piú d’una vidi in giovanezza;
ch’io ci seppi accoppiar cortesi modi;
ben che stia mal che l’uom se stesso lodi.

13
     Ne la nostra cittade era un uom saggio,
di tutte l’arti oltre ogni creder dotto,
che quando chiuse gli occhi al febeo raggio,
contava gli anni suoi cento e ventotto.
Visse tutta sua etá solo e selvaggio,
se non l’estrema; che d’Amor condotto,
con premio ottenne una matrona bella,
e n’ebbe di nascosto una cittella.

14
     E per vietar che simil la figliuola
alla matre non sia, che per mercede
vendé sua castitá che valea sola
piú che quanto oro al mondo si possiede,
fuor del commercio popular la invola;
et ove piú solingo il luogo vede,
questo amplo e bel palagio e ricco tanto
fece fare a’ demonii per incanto.

15
     A vecchie donne e caste fe’ nutrire
la figlia qui, ch’in gran beltá poi venne;
né che potesse altr’uom veder, né udire
pur ragionarne in quella etá, sostenne.
E perch’avesse esempio da seguire,
ogni pudica donna che mai tenne
contra illicito amor chiuse le sbarre,
ci fe’ d’intaglio o di color ritrarre: