Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. III, 1928 – BEIC 1739118.djvu/290

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284 canto


132
     Fatto avea farsi alla sua fata intanto
la bella Argia con subito lavoro
d’alabastri un palagio per incanto,
dentro e di fuor tutto fregiato d’oro.
Né lingua dir, né cor pensar può quanto
avea beltá di fuor, dentro tesoro.
Quello che iersera sí ti parve bello,
del mio signor, saria un tugurio a quello.

133
     E di panni di razza, e di cortine
tessute riccamente e a varie foggie,
ornate eran le stalle e le cantine,
non sale pur, non pur camere e loggie;
vasi d’oro e d’argento senza fine,
gemme cavate, azzurre e verdi e roggie,
e formate in gran piatti e in coppe e in nappi,
e senza fin d’oro e di seta drappi.

134
     Il giudice, sí come io vi dicea,
venne a questo palagio a dar di petto,
quando né una capanna si credea
di ritrovar, ma solo il bosco schietto.
Per l’alta maraviglia che n’avea,
esser si credea uscito d’intelletto:
non sapea se fosse ebbro, o se sognassi,
o pur se ’l cervel scemo a volo andassi.

135
     Vede inanzi alla porta uno Etïopo
con naso e labri grossi; e ben gli è avviso
che non vedesse mai, prima né dopo,
un cosí sozzo e dispiacevol viso;
poi di fattezze, qual si pinge Esopo,
d’attristar, se vi fosse, il paradiso;
bisunto e sporco, e d’abito mendico:
né a mezzo ancor di sua bruttezza io dico.