Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. III, 1928 – BEIC 1739118.djvu/291

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quarantesimoterzo 285


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     Anselmo che non vede altro da cui
possa saper di chi la casa sia,
a lui s’accosta, e ne domanda a lui;
et ei risponde: — Questa casa è mia. —
Il giudice è ben certo che colui
lo beffi e che gli dica la bugia:
ma con scongiuri il negro ad affermare
che sua è la casa, e ch’altri non v’ha a fare;

137
     e gli offerisce, se la vuol vedere,
che dentro vada, e cerchi come voglia;
e se v’ha cosa che gli sia in piacere
o per sé o per gli amici, se la toglia.
Diede il cavallo al servo suo a tenere
Anselmo, e messe il piè dentro alla soglia;
e per sale e per camere condutto,
da basso e d’alto andò mirando il tutto.

138
     La forma, il sito, il ricco e bel lavoro
va contemplando, e l’ornamento regio;
e spesso dice: — Non potria quant’oro
è sotto il sol pagare il loco egregio. —
A questo gli risponde il brutto Moro,
e dice: — E questo ancor trova il suo pregio:
se non d’oro o d’argento, nondimeno
pagar lo può quel che vi costa meno. —

139
     E gli fa la medesima richiesta
ch’avea giá Adonio alla sua moglie fatta.
De la brutta domanda e disonesta,
persona lo stimò bestiale e matta.
Per tre repulse e quattro egli non resta;
e tanti modi a persuaderlo adatta,
sempre offerendo in merito il palagio,
che fe’ inchinarlo al suo voler malvagio.