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trentesimosesto 93


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     perché Marfisa una percossa orrenda
gli mena per dividergli la testa.
Leva lo scudo che ’l capo difenda
Ruggiero, e ’l colpo in su l’aquila pesta.
Vieta lo ’ncanto che lo spezzi o fenda;
ma di stordir non però il braccio resta:
e s’avea altr’arme che quelle d’Ettorre,
gli potea il fiero colpo il braccio tôrre:

57
     e saria sceso indi alla testa, dove
disegnò di ferir l’aspra donzella.
Ruggiero il braccio manco a pena muove,
a pena piú sostien l’aquila bella.
Per questo ogni pietá da sé rimuove;
par che negli occhi avampi una facella:
e quanto può cacciar, caccia una punta.
Marfisa, mal per te, se n’eri giunta!

58
     Io non vi so ben dir come si fosse:
la spada andò a ferire in un cipresso,
e un palmo e piú ne l’arbore cacciosse:
in modo era piantato il luogo spesso.
In quel momento il monte e il piano scosse
un gran tremuoto; e si sentí con esso,
da quell’avel ch’in mezzo il bosco siede,
gran voce uscir, ch’ogni mortale eccede.

59
     Grida la voce orribile: — Non sia
lite tra voi: gli è ingiusto et inumano
ch’alla sorella il fratel morte dia,
o la sorella uccida il suo germano.
Tu, mio Ruggiero, e tu, Marfisa mia,
credete al mio parlar che non è vano:
in un medesimo utero d’un seme
foste concetti, e usciste al mondo insieme.