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Pagina:Ariosto-Op.minori.1-(1857).djvu/211

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182 satira quarta.

78Non volli prender mai spada nè scudi.
     Del mio star qui qual la cagion si sia,
Io ci sto volentier: ora nessuno
81Abbia a cor più di me la cura mia.
     S’io fossi andato a Roma, dirà alcuno,
A farmi uccellator de’ benefici,
84Preso alla rete n’avrei già più d’uno:
     Tanto più ch’ero degli antiqui amici
Del papa,1 innanzi che virtude sorte
87Lo sublimasse al sommo degli uffici:
     E prima che gli aprissero le porte
I Fiorentini, quando il suo Giuliano
90Si riparò nella Feltresca corte;
     Ove col formator del Cortigiano,
Col Bembo e gli altri sacri al divo Apollo,
93Facea l’esilio suo men duro e strano:
     E dopo ancor quando levaro il collo
Medici nella patria, e il gonfalone,
96Fuggendo del palazzo, ebbe il gran crollo;2
     E fin che a Roma s’andò a far Leone,
Io gli fui grato sempre, e in apparenza
99Mostrò amar più di me poche persone.
     E più volte Legato, ed in Fiorenza
Mi disse, che al bisogno mai non era
102Per far da me al fratel suo differenza.
     Per questo parrà altrui cosa leggiera,
Che stando io a Roma, già m’avesse posta
105La cresta dentro verde e di fuor nera.3
     A chi parrà così, farò risposta
Con uno esempio: leggilo, chè meno


  1. In questa e nelle seguenti terzine parla il poeta di Giovanni de’ Medici, poi Leone X, di cui era amico assai prima del suo pontificato — (V. la Lettera I), — e sin dal tempo che la sua famiglia andava esule da Firenze, e Giuliano suo fratello si riparava nella corte d’Urbino, ove il poeta medesimo conobbe il Bembo, il Castiglione autore del Cortigiano, ed altri illustri letterati di quel tempo. Intorno ai detti fatti può vedersi il Guicciardini nel libro XI. — (Molini).
  2. Cioè nel 1512, quando i Medici, restituiti colle forze di Giulio II e degli Spagnuoli in Firenze, fecero ne fosse cacciato il gonfaloniere che col nome di perpetuo era stato messo a capo di quella repubblica.
  3. Come nella Satira I: «Quell’altro per fodrar di verde il nero Cappel ec.» (v. 178).