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satira quarta. 183

108Leggerlo a te, che a me scriverlo, costa.
     Una stagion fu già che sì il terreno
Arse, che ’l Sol di nuovo a Faetonte
111De’ suoi corsier parea aver dato il freno:
     Secco ogni pozzo, secca era ogni fonte,
Li rivi e i stagni e i fiumi più famosi
114Tutti passar si potean senza ponte.
     In quel tempo, d’armenti e di lanosi
Greggi, io non so s’i’ dica, ricco o grave
117Era un pastor fra gli altri bisognosi;
     Che poi che l’acqua per tutte le cave
Cercò indarno, si volse a quel Signore
120Che mai non suol fraudar chi in lui fede have;
     Ed ebbe lume e ispirazion di côre,
Ch’indi lontano trovería, nel fondo
123Di certa valle, il desïato umore.
     Con moglie e figli, e con ciò ch’avea al mondo,
Là si condusse, e con gli ordigni suoi
126L’acqua trovò, nè molto andò profondo;
     E non avendo con che attinger poi,
Se non un vase picciolo ed angusto,
129Disse: — Che mio sia ’l primo non v’annoi.
     Di mógliema il secondo, e ’l terzo è giusto
Che sia de’ figli, e il quarto, e fin che cessi
132L’ardente sete, onde è ciascuno adusto:
     Li altri vuò ad un ad un che sien concessi,
Secondo le fatiche, alli famigli
135Che meco in opra a fare il pozzo messi.
     Poi su ciascuna bestia si consigli,
Che di quelle che a perderle è più danno,
138Innanzi all’altre la cura si pigli. —
     Con questa legge un dopo l’altro vanno
A bere; e per non essere i sezzai,
141Tutti più grandi i lor meriti fanno.
     Questo una gaza,1 che già amata assai
Fu dal padrone ed in delizie avuta.
144Vedendo ed ascoltando, gridò: — Guai!
     Io non gli son parente, nè venuta


  1. Così tutte le stampe; per effetto, crediamo noi, della pronunzia provinciale dell’autore, in vece di Gazza.