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Pagina:Ariosto-Op.minori.1-(1857).djvu/213

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184 satira quarta.

A fare il pozzo; nè di più guadagno
147Gli son per esser mai, ch’io gli sia suta:
     Veggio che dietro agli altri mi rimagno;
Morrò di sete, quando non procacci
150Di trovar per mio scampo altro rigagno. —
     Cugin, con questo esempio vuò che spacci
Quei che credon che ’l papa porre innanti
153Mi debba a Neri, a Vanni, a Lotti e a Bacci.1
     Li nipoti e i parenti, che son tanti,
Prima hanno a ber; poi quei che lo ajutaro
156A vestirsi il più bel di tutti i manti.
     Bevuto ch’abbian questi, gli fia caro
Che beano quei che contra il Soderino,
159Per tornarlo in Firenze, si levaro.
     L’un dice: — Io fui con Pietro in Casentino,
E d’esser preso e morto a risco venni: —
162— Io gli prestai danar, — grida Brandino.
     Dice un altro: — A mie spese il frate2 tenni
Uno anno, e lo rimessi in veste e in arme;
165Di cavallo e d’argento gli sovvenni. —
     Se fin che tutti béano, aspetto a trarme
La volontà di bere, o me di sete
168O secco il pozzo d’acqua veder parme.
     Meglio è star nella solita quïete,
Che provar s’egli è ver che qualunque erge
171Fortuna in alto, il tuffa prima in Lete.
     Ma sia ver, se ben gli altri vi sommerge,
Che costui3 sol non accostasse al rivo
174Che del passato ogni memoria asterge:
     Testimonio son io di quel ch’io scrivo;
Ch’io non l’ho ritrovato, quando il piede
177Gli baciai prima, di memoria privo.
     Piegòssi a me dalla beata sede;
La mano e poi le gote ambe mi prese,
180E il santo bacio in amendue mi diede.
     Di mezza quella bolla anco cortese


  1. Con questi nomi di Fiorentini vuol dire il poeta che un papa fiorentino non avrebbe premiato un ferrarese prima dei suoi parenti e paesani. — (Molini.)
  2. Il fratello, cioè, dello stesso papa, Giuliano.
  3. Cioè, Leone.