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202 | satira settima. |
Veggio, e le più, di questo alcuna cura
6Per l’amicizia nostra vorrei darti.
Non creder però, ch’esca di misura
La mia domanda, ch’io voglia tu facci
9L’ufficio di Demetrio o di Musura.1
Non si dànno a’ par tuoi simili impacci;
Ma sol che pensi e che discorri teco,
12E saper dagli amici anco procacci,
S’in Padova o in Vinegia è alcun buon Greco,
Buono in scïenzia, e più in costumi, il quale
15Voglia insegnarli e in casa tener seco.
Dottrina abbia e bontà, ma principale
Sia la bontà; chè non vi essendo questa,
18Nè molto quella, alla mia estima,2 vale.
So ben che la dottrina fia più presta
A lasciarsi trovar, che la bontade:
21Sì mal l’una nell’altra oggi s’innesta.
O nostra male avventurosa etade,
Che le virtudi che non abbian misti
24Vizî nefandi si ritrovin rade!
Senza quel vizio son pochi umanisti,3
Che fe a Dio forza, non che persüase,
27Di far Gomorra e i suoi vicini tristi.
Mandò fuoco dal ciel, ch’uomini e case,
Tutto consunse, ed ebbe tempo a pena
30Lot a fuggir, ma la moglier rimase.
Ride il volgo se sente un ch’abbia vena
Di poesia, e poi dice: — È gran periglio
33A dormir seco, e volgergli la schiena. —
Ed oltra questa nota, il peccadiglio
- ↑ Demetrio Calcondila e Marco Musuro famosi grammatici greci del tempo del poeta; il quale fa menzione di quest’ultimo anche nel Furioso, c. XLVI, st. 13.
- ↑ Vedasi il primo dei Cinque Canti, st. 2. — E chi a lettere attende, ricordi la sentenza.
- ↑ L’autore avea fatto prima le due seguenti terzine di questo modo:
Pochi sono i grammatici e umanisti
Senza il vizio per cui Dio Sabaot
Fece Gomorra e i suoi vicini tristi;
Chè mandò il fuoco giù dal cielo, e quot quot
Eran, tutti consunse, sì che a pena
Campò faggendo uno innocente, Lot.
Così legge la prima edizione del 1534 ed altre antiche, e fra le moderne quella del Rolli.— (Molini.)