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234 elegia undecima.

E non patir che questa febbre audace,
6Quant’oggi è al mondo di bellezza levi.1
     Lasso! che già, poi che Madonna giace,
Due volte ha scemo, ed altrettanto il lume
9Ricovrato, il pianeta che più tace:2
     Sì che su ’l vivo avorio si consume
Quell’ostro, quel che di sua man vi sparse
12La Dea che nacque in le salate spume;
     E quei begli occhi in che mirando s’arse
Le penne Amor, e si scorciò sì l’ale,
15Ch’indi non potè mai dopo levarse,
     Muovono, afflitti dal continuo male,
Tanta pietade, che ne fan sovente
18Maravigliar che al ciel di lor non cale.
     Perchè patir debb’ella? ove si sente
Divina o umana o usanza prava alcuna
21Che dar pena consenta a un innocente?
     Innocente è Madonna, se non d’una
Colpa forse: che l’avida mia voglia
24Sempre ha lasciata oltre il dover digiuna.
     Se a me non duole, ad altri non ne doglia;
E s’io sol son offeso e le perdono,
27Ingiusto è che altri a vendicar mi toglia.
     Ed io quanto di lei creditor sono
Del mio fedel servir di cotant’anni,
30Tutto dipenno3 e volentier le dono.
     Nè pur la ricompensa de’ miei danni
Non le dimando, ma per un sofferto
33Ch’abbia per lei, soffrir vô mille affanni.
     E s’uom mai si esaudì, che si sia offerto
Poner la sua per l’altrui vita, come
36Quel Curzio che saltò nel foro aperto;
     E Decio, e il figlio del medesmo nome,
Che tolser della patria tremebonda
39Sopra gli omeri lor tutte le some;
     Padre eterno, i miei voti seconda:



  1. Fu composta questa Elegia per la grave malattia sofferta dall’Alessandra Strozzi, molti anni prima che divenisse moglie al poeta. Lamenta il medesimo una tale sventura anche nei Sonetti XXVI, XXVIII, XXIX, e nel primo fra i Madrigali.
  2. Che più lungamente nasconde il suo splendore; metafora foggiata a somiglianza del dantesco: «d’ogni luce muto.»
  3. Esempio da rammentarsi.