125Chi di sangue e d’amor ti sia congiunto.
Questo sopra ogni lume in te risplende,
Se ben quel tempo che sì ratto corse,
Tenesti di Nemorse
Meco scettro ducal di là da’ monti; 130Se ben tua bella mano il freno torse
Al paese gentil che Appennin fende,
E l’Alpe e il mar difende.1
Nè tanto val che a questo pregio monti,
Che ’l sacro onor dell’erudite fronti, 135Quel tosco, e ’n terra e ’n cielo amato, Lauro,2
Sôcer ti fu, le cui Mediche fronde
Spesso alle piaghe, donde
Italia morì poi, furon ristauro;
Che fece all’Indo e al Mauro 140Sentir l’odor de’ suoi rami soavi;
Onde pendean le chiavi
Che tenean chiuso il tempio delle guerre,
Che poi fu aperto, e non è più chi ’l serre.3
Non poca gloria è che cognata e figlia 145Il Leon beatissimo4 ti dica,
Che fa l’Asia e l’antica
Babilonia tremar sempre che rugge;
E che già l’Afro in Etïopia aprica
Col gregge e con la pallida famiglia 150Di passar si consiglia;
E forse Arabia e tutto Egitto fugge
Verso ove il Nilo al gran cader remugge.5
Ma da corone e manti e scettri e seggi,
Per stretta affinità, luce non hai 155Da sperar che li rai
↑Lorenzo il Magnifico, padre di Giuliano. — (Molini.)
↑Di ciò vedasi il Guicciardini al principio del libro primo. Gli odierni lettori poi sanno, che niun altro più caldo apologista e lodatore ebbe il Magnifico in verun tempo, di quel che sia stato ai nostri giorni, nelle Speranze d’Italia, Cesare Balbo.
↑Questa allusione ci scopre l’anno in cui la Canzone fu scritta, cioè nel 1518; quando cioè papa Leone, come scrive il Muratori, «affinchè il sultano Selim non trovasse sprovedute le contrade cristiane, più che mai si diede ad incitare i monarchi battezzati ad una lega, non solamente per fargli fronte occorrendo, ma anche per invadere preventivamente da più parte gli stati suoi.» Ann. d’It.