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290 canzone seconda.

Del chiaro sol di tue virtù pareggi:
Sol perchè non vaneggi
Dietro al desir, che come serpe annoda,
Ti guadagni la loda
160Che ’l padre e gli avi e i tuoi maggiori invitti
Si guadagnâr con l’arme ai gran conflitti.
     Quel cortese signor che onora e illustra
Bibiena,1 e innalza in terra e in del la fama;
165Se come fin che là giù m’ebbe appresso,
Mi amò quanto sè stesso,
Così lontano e nudo spirto mi ama;
S’ancora intende e brama
Soddisfare a’ miei prieghi, come suole;
170Queste fide parole
A Filiberta mia scriva e rapporti,
E prieghi per mio amor che si conforti.




CANZONE TERZA.2




     Dopo mio lungo amor, mia lunga fede,
E lacrime e sospiri ed ore tetre,
Deh! sarà mai che da Madonna impetre
Al mio leal servir degna mercede?
5Ella vede ch’io moro, e che nol vede
Finge, come disposta alla mia morte.
Ah dolorosa sorte,
Che di sua perfezion cosa sì bella
Manchi, per esser di pietà rubella!
     10Lasso, ch’io sento ben che quei dolci ami,
Ove all’esca son preso, o mia nemica,
È3 l’amaro mio fin! Nè perchè il dica


  1. Il cardinale Bernardo Dovizio da Bibbiena, gran fautore della casa Medici e amico dell’autore. — (Molini.)
  2. Questa Canzone fu pubblicata la prima volta dal Baruffaldi nella Vita di Lodovico Ariosto (pag. 315), come trovata in Bologna tra i manoscritti di monsignor Lodovico Beccadelli.
  3. Il verbo al singolare, benchè il suo reggente (ami) sia plurale: caso non nuovo, quantunque possa supporsi qualche scorrezione nella copia, e in ispecie il difetto di una preposizione innanzi a quei (che ’n quei dolci ami).