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14 i cinque canti.


39 Le vie, l’entrate principal son sette,1
Per cui l’anime van dritto all’Inferno;
Altre ne son, ma torte, lunghe e strette,
Come quella di Tenaro e d’Averno:
Questa delle più usate una si mette,
Di che la infame Invidia avea il governo:
A questo fondo orribile si cala
Súbito Alcina, e non vi adopra scala.

40 S’accosta alla spelonca spaventosa,
E percôte a gran colpo con un’asta
Quella ferrata porta, mezzo rosa
Da’ tarli e dalla ruggine più guasta.
L’Invidia, che di carne venenosa
Allora si pascea d’una cerasta,
Levò la bocca alla percossa grande
Dalle amare e pestifere vivande.

41 E di cento ministri ch’avea intorno,
Mandò senza tardar uno alla porta;
Che, conosciuta Alcina, fa ritorno
E di lei nuova indietro le rapporta.
Quella pigra si leva, e contra il giorno
Le viene incontra, e lascia l’aria morta;
Chè ’l nome delle Fate sino al fondo
Si fa temer del tenebroso mondo.

42 Tosto che vide Alcina così ornata
D’oro e di seta e di ricami gai;
Chè riccamente era a vestire usata,
Nè si lasciò non culta veder mai;
Con guardatura oscura e avvenenata
I lividi occhi alzò, piena di guai;
E fêro il cor dolente manifesto
I sospiri ch’uscian dal petto mesto.

43 Pallido più che bosso, e magro e afflitto,
Arido e secco ha il dispiacevol viso;
L’occhio, che mirar mai non può diritto;
La bocca, dove mai non entra riso,
Se non quando alcun sente esser proscritto,
Di stato espulso, tormentato e ucciso

  1. Finge l’autore che sette siano l’entrate principali dell’Inferno, perchè sette sono i vizi capitali; e dice che questa di cui l’Invidia ha il governo, si mette, cioè si stima una delle più usate, cioè una delle più frequentate. — (Molini.)