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atto secondo. — sc. iii. 143

Ai passi.
Fulcio.               Nè serà fuor di proposito
Che facci al tuo una vesta, acciò nol becchino,
Trovandol nudo, li corbacci e l’aquile.
Erofilo.Ve’, Caridoro, come ci dileggiano
questi furfanti gaglioffi!
Caridoro.                                        Deh misero
Chi serve amor!
Volpino.                              Noi che serviamo a miseri,
Servi siam, Fulcio, doppiamente miseri.
Creduto non avrei che fossi, Erofilo,
Di sì poca fiducia, che sentendoti
Volpino appresso, ti dovessi mettere
Tanta paura in cosa così picciola.
Erofilo.Picciola questa? e qual’altra puot’essere
Grande, se questa è picciola?
Volpino.                                                  Guardatemi
In viso: parte il ruffian? vô concedere
Ciò che dite: io rispondo, che volendovi
Governar a mio modo, vi vô mettere,
Prima che siamo a domani, a te Eulalia
In braccio, a te Corisca; e questo Lucramo,
Sì arrogante, tosar come una pecora.
Caridoro.O Volpino dabbene!
Erofilo.                                   Dabbenissimo!
Volpino.Ma dimmi hai tu apparecchiate le forbici,
Ch’i’ dissi, da tosar?
Erofilo.                                     Che forbici hammi tu
Detto?
Volpino.             Non ti dissi io che facessi opera
D’aver in man le chiavi della camera
Di tuo padre?
Erofilo.                         L’ho avute.
Volpino.                                               E si mandassino
Fuor tutti i servi di casa, e più il Nebbia
Degli altri?
Erofilo.                      Tutto è fatto.
Volpino.                                           Ecco le forbici
Ch’io domandavo: or attendi ed ascoltami.
Ho ritrovato in questa terra un giovene
Cauto, sufficïente ed al proposito
Nostro, col quale ebbi stretta amicizia