Pagina:Ariosto-Op.minori.2-(1857).djvu/337

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atto quarto. — sc. v. 327

Ragion che v’hai.
Corbolo.                              Dice il vero; lasciatela
Più tosto ov’era, in casa di Pacifico.
Bartolo.Questo consiglio non mi sarebbe utile.
Fazio.Che tocca a te? che v’hai tu da intrometterti,
O tu, se non è tua?
Corbolo.                                Per me rispondere
Voglio, chè forse ci ho parte.
Giuliano.                                                Concederti
Non voglio già cotesto.
Corbolo.                                      Ed appartiêmmisi
Vie più che non ti pare.
Fazio.                                        Ed appartengasi.
Giuliano.Come appartien? Non è vero.
Fazio.                                                  Appartengagli.
E’ non ti par che in casa mia debbia essere
Sicura dunque? come sol con Bartolo,
E non con Giulian anco, abbia amicizia!
Giuliano.Ci siamo un tratto compromessi in Fazio:
Sia il dipositario egli, egli sia il giudice.
Bartolo.1E così dico anch’io.
Fazio.                                 Dunque spingetela
Qua dentro in casa; e non abbiate dubbio,
Che in fin ch’io non son ben chiaro e certissimo
Di chi sia di ragion, la lasci muovere.


  1. Del nostro variare, in questo luogo, da tutti i moderni editori renderà ragione la nota, che riportiamo intera, di Giovan Andrea Barotti, il cui esempio, dopo maturo esame, ci è parso di dover preferire. «In questa e nella seguente scena sì è tenuta la lezione di un’antica copia della Lena appresso di me, e della stampa del Bindoni del 1538. Le tante edizioni del Giolito, seguite poi da quella di Firenze, o sia di Napoli, 1724, da quella dell’Oriandini e da molte altre, finiscono la scena quinta col verso della nostra Sia il depositario egli, egli sia il giudice. Vi succede la sesta co’ personaggi Magagnino e Spagnuolo, Sbirri, Lena, Fazio, Bartolo, Pacifico; e incomincia con ventotto versi, che nella copia e nella stampa Bindoni non si leggono; e poi si attacca colla nostra edizione a quel verso E così dico anch’io ec., che quanto sta bene in bocca di Bartolo, come nella nostra, tanto sta male e nulla significa in bocca di Magagnino, come in quelle del Giolito. Assolutamente que’ ventotto versi non convengono al luogo dove le suddette stampe gli hanno collocati; e quando l’Ariosto abbia avuto in animo di riporli in qualche sito, pare a me che possa aver pensato al principio della nostra scena sesta, o a farne una tra la sesta e la quinta, come detti parte da’ birri nell’uscir di casa della Lena, e parte dalla Lena in casa sua, vicino alla porta. Al volgersi poi dello Spagnuolo verso il Teatro, gli viene veduto Bartolo, e lo accenna a Magagnino; e costui immantinente a Bartolo si volta con quelle