Pagina:Ariosto-Op.minori.2-(1857).djvu/447

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atto primo. — sc. iii. 437

Eurialo.Come è venuta?
Accursio.                            In nave.
Eurialo.                                        La mia Ippolita
È in Ferrara?
Accursio.                         È in Ferrara.
Eurialo.                                               Ov’è?
Accursio.                                                         Lasciatala
Ho in San Polo,1 e m’aspetta fin che a rendere
Le vo risposta.
Eurialo.                          Non ti posso credere
S’io non la veggo.
Accursio.                               Venite, e vedretela.
Eurialo.Come è così venuta?
Accursio.                                   In nave, dicovi.
Eurialo.Non ti domando cotesto; dimandoti
Per qual via, e come di casa partitasi
Sia de la sua2 padrona?
Accursio.                                        Per la solita
Via ch’usan gli altri, è venuta, e debb’essere
Uscita per la porta.
Eurialo.                                 Tu mi strazii
E mi dileggi, gaglioffo!
Accursio.                                     Anzi dicovi
La verità, nè mi volete credere.
Eurialo.Ella è venuta certo?
Accursio.                                   Certo.
Eurialo.                                             O anima
Mia cara, o vita mia! Mi sento struggere,
Mi sento il cuor liquefar di letizia.
Ma dimmi un poco la cosa per ordine.
Accursio.Ve la dirò, se m’ascoltate.
Eurialo.                                             Ascoltoti.
Accursio.Io ritrovai la Veronese, e dissile
Ch’io m’era per partir il marti3 prossimo
(Questo fu un venerdì); sì che se Ippolita
Voléa scriver, scrivesse. Ella, con lacrime
Su gli occhi e tutta infiammata di colera,
Si scusò non poter far questo uficio,


  1. Cioè alla porta di San Paolo, ove approdavano le barche che venivano dal Po. — (Barotti e Molini.)
  2. Nell’autografo: «di sua;» e nella stampa del Grifio: da sua.
  3. Per martedì. Vocabolo ferrarese. — (Barotti.)

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