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474 la scolastica.

Che voi ancora andassi al Po, ed al giognere
Lor, voi li raccogliessi, e accompagnastegli
Qui dentro.
Eurialo.                  Sto in gran dubio che, se restano
Senza me in casa, pur quest’altre facciano
O dican qualche cosa onde si scôprano.
Bonifacio.E che pônno elle o dire o far, avendole
Voi già avvisate? Ma vedete Accursio
Ch’a noi ritorna.
Eurialo.                              Oimè! vi è1 messer Lazzaro,
La moglie e tutta la brigata! Domine
Ajutami, ch’io tremo!
Bonifacio.                                      Oh pusillanime!
Voi siete divenuto così pallido?
Venite, andiam lor contra: ma veniteci
Con altro volto. Cotesto2 più idoneo
Sería3 a dar lor combiato, che riceverli.
Eurialo.Oh, se mio padre, oimè! venisse a mettere
In questo tempo il capo fuor?
Bonifacio.                                                  Che diavolo!
Potría saper chi fossin, non avendoli
Mai più veduti?
Eurialo.                         Facciam noi pur ch’entrino
In casa presto.
Bonifacio.                         Apparecchiar due pertiche
Doveate da cacciarveli, indugiandosi
Troppo; o potete, se vi par, levarveli
In collo in un fastel tutti, e portarveli.


SCENA II.

LAZZARO, e detto.


Lazzaro.(Io veggo a noi venir messer Eurialo:
Quel che gli è innanzi, suo padre dev’4 essere.)


  1. La lezione qui preferita è quella della copia di Gabriele Ariosto, e delle stampe del Grifio, del Giolito e del Pitteri. Troviamo nell’autografo, con ridondanza di sillabe: «quello è;» nelle altre edizioni, con modo evidentemente fallato: vien. Di altre più lievi differenze potrà da sè far ragguaglio il diligente e curioso lettore.
  2. G. A.: «che questo.»
  3. Non leggesi nei due manoscritti quest’a, che noi lasciamo sussistere per la chiarezza del costrutto.
  4. Nell’autografo, semprechè incontrasi questa voce, è scritta «diev’,» o «dieve.»