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atto secondo. — sc. iii. 81


Dulipo.     E che dì e notte non fai altro che tossire e sputare, che li porci avríano schifo di te.

Cleandro.     Io non tosso, nè sputo pur mai. Uhò, uhò, uhò... È vero ch’io sono adesso un poco infreddato; ma chi non è da questo tempo?

Dulipo.     E dice molto peggio: che ti puzzano li piedi e le ascelle, e, più che ’l resto, il fiato.

Cleandro.     O traditore! al corpo..., ch’io...

Dulipo.     E che tu sei aperto di sotto, e che ti pende sin alli ginocchi una borsa più grossa che tu non hai la testa.

Cleandro.     Non abbia mai cosa ch’io voglia, se non lo pago.1 Ei mente per la gola di ciò che egli dice, e se non fussi qui nella via, ti farei veder il tutto.

Dulipo.     E che tu la dimandi più per voglia che hai di marito, che di moglie.

Cleandro.     Che vuol per questo inferire?

Dulipo.     Che con tal esca vorresti tirar li gioveni a casa.

Cleandro.     Gioveni a casa io? a che effetto?

Dulipo.     Che tu patisci una certa infirmità a le parte di dietro, a cui giova ed è appropriato rimedio a star con li gioveni di prima barba.

Cleandro.     Poffar Iddio, che egli abbia queste cose dette?

Dulipo.     Altre infinite; e non pur questa, ma molte e molte altre fiate ancora.

Cleandro.     Damone gli crede?

Dulipo.     Più ch’al Credo; e sono molti dì che ti avría dato repulsa, se non che Pasifilo l’ha pregato che ti tenga in parole, perchè pur spera da le mani cavarti con queste pratiche qualche cosetta.

Cleandro.     O scelerato senza fede! perchè io non avevo pensato di donargli queste calze ch’io ho in piedi, come io l’avessi un poco più fruste! Mi cavarà de le mani... eh! voglio che mi cavi un capestro che l’impicchi.

Dulipo.     Vuoi cosa ch’io possa? io ho fretta di tornare in casa.

Cleandro.     Non altro.

Dulipo.     Per tua fè, non ne parlare con persona del mondo, che saresti causa de la ruina mia.

Cleandro.     Io t’ho una volta dato la fede mia. Ma dimmi, come è il tuo nome?


  1. Ant. stamp.: se non l’impago; ma vedi la stessa commedia in versi.