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Pagina:Ariosto-Op.minori.2-(1857).djvu/92

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82 i suppositi.


Dulipo.     Mi dicono Maltivenga.

Cleandro.     Se’ tu di questa terra?

Dulipo.     Non: sono di un castello in Pistolese, nomato Fustiocciso.1 Addio, non ho più tempo di star qui.

Cleandro.     O misero me, di chi mi sono io fidato! che messaggio, che ’nterprete m’avea io ritrovato!

Carione.     Padron, andiamo a disinare: vuoi tu stare sin a sera a posta di Pasifilo?

Cleandro.     Non mi rompere il capo: che fusti amendui impiccati!

Carione.     (Non ha avute novelle che gli siano piaciute.)

Cleandro.     Hai tu così gran prescia di mangiare? che non possi tu mai saziarti!

Carione.     Son certo ch’io non mi saziarò mai fin ch’io sto teco.

Cleandro.     Andiamo, col malanno che Dio ti dia.

Carione.     El male sempre a te e a tutto il resto degli avari.




ATTO TERZO.




SCENA I.

DALIO cuoco, CRAPINO ragazzo, EROSTRATO, DULIPO.


Dalio.     Come siamo a casa, credo ch’io non ritrovarò de l’uova che porti in quel cesto, un solo intiero. Ma con chi parlo io? dove diavolo è rimasto ancora questo ghiottone? Sarà rimasto a dare la caccia a qualche cane, o a scherzare con l’orso: ad ogni cosa che truova per via, si ferma: se vede facchino o villano o giudeo, non lo terríano le catene che non gli andasse a far qualche dispiacere. Tu verrai pur una volta, capestro; bisogna che di passo in passo ti vadi aspettando. Per dio! s’io truovo pur un solo di quelle uova rotto, ti romperò la testa.

Crapino.     Sì ch’io non potrò sedere.

Dalio.     Ah! frasca, frasca.


  1. Così le stampe; ma per corrispondere al mal augurio del precedente Maltivenga, sarebbe da scriversi Fustuocciso o Fustucciso.