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Dietro lampeggia a guiſa di baleno:
Dinazi ſcoppia, e mada in aria il tuono:
Triema le mura, e ſotto i pie il terreno:
Il ciel ribomba al pauentoſo ſuono:
L’ardete ſtral che ſpezza e venir meno
Fa ciò ch’incótra, e da a neſſun pdono:
Sibila e ſtride: ma come e il deſire
Di quel brutto affaffin: non va a ferire.
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O ſia la fretta, o ſia la troppa voglia
D’uccider quel barò ch’errar lo faccia.
O ſia che il cor tremando come ſoglia
Faccia iſieme tremare e mani e braccia,
O la bontá diuina, che non voglia
Che ’l ſuo fedel campion ſi toſto giaccia
Quel colpo al vètre del deſtrier ſi torſe
Lo caccio í terra onde mai piú nò ſorſè,
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Cade a terra il cauallo e il caualliero,
La preme l’un, la tocca l’altro apena:
Che ſi leua ſi deſtro, e ſi leggiero
Come creſciuto gli ſia poſſa e lena:
Quale il Libico Antheo ſemp piú fiero
Surger ſolea da la percoſſa arena,
Tal furger parue, e che la ſorza, quando
Tocco il terren, ſi radoppiaffe a Orlado.
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Chi vide mai dal ciel cadere il ſoco
Che co ſi horrèdo ſuon Gioue diſſerra?
E penetrare, oue vn richiuſo loco
Carbon co zolfo e con ſalnitro ferra?
Ch’ apena arriua, a pena tocca vn poco:
Clí par ch’auapi il ciel non che la terra:
Spezza le mura, e i graui marmi ſuelle,
E fa i faſſi volar fin’ alle ſtelle.
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S’ imagini che tal poi che cadendo
Tocco la terra il Paladino foſſe,
Con ſi fiero ſembiante aſpro & horrèdo:
Da far tremar nel ciel Marte ſi moſſe:
Di che ſmarito il Re Friſon torcendo
La briglia in dietro per ſuggir voltoſſe:
Ma gli ſu dietro Orlando con piú fretta,
Che non eſce da l’arco vna ſaetta.
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E quel che non hauea potuto prima
Fare a cauallo, hor fará eſſendo a piede
Lo ſeguita ſi ratto, ch’ogni ſtima
Di chi noi vide ogni credenza eccede,
Lo giunſe in poca ſtrada, & alla cima
In- l’elmo alza la ſpada, e ſi lo ſiede,
Che gli parte la teſta fin’ al collo,
E in terra il manda a dar l’ultimo crollo.
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Ecco leuar ne la citta ſi ſente
Nuouo rumor, nuouo menar di ſpade:
Che ’l cugin di Bireno con la gente
C hauea condutta da le ſue contrade:
Poi che la porta ritrouo patente:
Fra venuto dentro alla cittade,
Dal paladino in tal timor ridutta,
Che ſenza itoppo la può ſcorrer tutta.
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Fugge il populo in rotta: che no ſcorge
Chi queſta gente ſia: ne che domandi:
Ma poi ch’uno & vn’ altro pur s’accorge
All’habito e al parlar che ſon Selandi,
Chiede lor pace, e il ſoglio biaco porge
E dice al capitan che gli comandi,
E dar gli vuol contra i Friſoni aiuto:
Che ’l ſuo duca i prigion gli ha ritenuto.