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Due belle donne honeſtamente ornate
l’una veſtita a bianco, e l’altra a nero,
Che de la pugna cauſa erano ſtate
Stallano a riguardar P affatto fiero:
Queſte eran quelle due benigne Fate
C’hauean notriti i ſigli d’Oliuiero
Poi che li traſſon teneri citelli
Da i curui artigli di duo gradi augelli.
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Che rapiti gli haueuano a Giſmonda
E portati lontan dal ſuo paeſe,
Ma no biſogna i ciò ch’io mi diffonda
Ch’a tutto il mondo e l’hiſtoria paleſe:
Ben che l’author nel padre ſi confonda
Ch’un per vn’ altro (io no ſo come) preſe
Hor la battaglia i duo gioueni fanno
Che le due donne ambi pregati n’hAno.
[74]
Era in quel clima giá ſparito il giorno
AlPIfole anchor alto di Fortuna:
E’ ombre hauea tolto ognivedere atorno
Sotto l’incerta e mal compreſa Luna
Quando alla rocca Horril fece ritorno
Poi ch’alia bianca, e alla ſorella bruna
Piacque di diſſerir l’aſpra battaglia
Fin che’l Sol nuouo all’Orizonte faglia.
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Aſtolfo che Griphone, & Aquilante
Et all’inſegne, e piú al ferir gagliardo
Riconoſciuto hauea gra pezzo inante,
Lor non ſu altiero a ſalutar ne tardo,
Eſſi vedendo, che quel che’l Gigante
Trahea legato, era il Baron dal Pardo
(Che coſi in corte era quel Duca detto)
Raccolſcr lui con non minore affetto.
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Le donne a ripoſare i cauallieri
Menaro a vn lor palagio indi vicino,
Donzelle incontra venero e feudieri
Con torchi acceſi a mezo del camino,
Diero, a chi n’hebbe cura, i lor deſtrieri
Traſſonſi Parme, e détrovn bel giardino
Trouar ch’apparechiata era la cena
Ad vna ſonte limpida, & amena.
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Fan legare il Gigante alla verdura
Con vn’ altra catena molto groſſa,
Ad vna quercia di molt’ anni dura,
Che non ſi romperá per vna ſcoſſa,
E da dieci ſergenti haueme cura
Che la notte diſcior non ſé ne poſſa,
Et .duliili. e ſorſè far lor danno
Mentre ſicuri e ſenza guardia ſtanno,
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All’abondante e ſontuoſa menſa
Doue il manco piacer fur le viuande
Del ragionar gran parte ſi diſpenfa
Sopra d’ Horrilo, e del miracol grande
Che quaſi par vn ſogno a chi vi penſa:
C’hor capo hor braccio a terra ſé gli máde
Et egli lo raccolga e lo raggiugna
E piú feroce ogn’hor tomi alla pugna.
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Aſtolfo nel ſuo libro hauea giá letto,
Quel ch’agi’ incanti riparare inſegna,
Ch’ad Horril non trarrá Palma del petto
Fin ch’un crine fatai nel capo tegna.
Ma ſé lo ſuelle o tronca, ſia conſtretto
Ch ſuo mal grado ſuor l’alma ne veglia:
Queſto ne dice il libro, ma non come
Conoſca il crine in coſi ſolte chiome.