Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/408

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 [96]
Chi la donzella, chi’l monacho ſia,
     Chi portin ſeco, vi debbe eſſer chiaro,
     Conoſcere Iſſabella ſi douria
     Che’l corpo hauea del ſuo Zerbío caro:
     Laſciai che ver Prouenza ne venia
     Sotto la ſcorta del vecchio preclaro,
     Che le hauea perſuaſo tutto il reſto
     Dicare a Dio del ſuo viuere honeſto.

 [97]
Come ch’in viſo pallida e ſmarrita
     Sia la donzella, & habbia i crini inconti,
     E facciano i ſoſpir continua vſcita
     Del petto acceſo, e gliocchi ſie duo ſonti
     Et altri teſtimoni d’una vita
     Mifera e graue in lei ſi veggan pronti:
     Tanto perho di bello ancho le auanza
     Ch co le Gratie Amor vi può hauer ſtaza

 [98]
Toſto che’l Saracin vide la bella
     Donna apparir, meſſe il péſiero al fondo,
     C hauea di biaſmar ſempre e d’odiar qlla
     Schiera gentil che pur adorna il mondo,
     E ben gli par digniſſima Iſſabella
     In cui locar debba il ſuo amor fecondo.
     E ſpenger totalmente il primo, a modo
     Che da l’affe ſi trahe chiodo con chiodo.

 [99]
Incontra ſé le fece, e col piú molle
     Parlar ch ſeppe, e col miglior ſembiate:
     Di ſua conditione domandolle:
     Et ella ogni penſier gli ſpiego inante:
     Come era per laſciare il mondo ſolle
     E farſi amica a Dio con opre fante:
     Ride il Pagao altier, ch’in Dio no crede
     D’ogni legge nimico e d’ogni fede.

 [100]
E chiama intentione erronea e lieue:
     E dice che per certo ella troppo erra,
     Ne men biaſmar che V auaro ſi deue
     Che’l ſuo ricco theſor metta ſotterra,
     Alcuno vtil per ſé non ne riceue
     E da l’ufo de glialtri huomini il ferra,
     Chiuder leon ſi denno, orſi, e ſerpenti
     E non le coſe belle & innocenti.

 [101]
Il Monacho ch’a qſto hauea l’orecchia
     E per ſoccorrer la giouane incauta
     Che ritratta non ſia per la via vecchia:
     Sedea al gouerno qual pratico nauta,
     Quiui di ſpiritual cibo apparecchia
     Torto vna menſa ſontuoſa e lauta:
     Ma il Saracin che con mal guſto nacque
     Non pur la faporo che gli diſpiacque.

 [102]
E poi ch’in vano il Monacho interroppe
     E non potè mai far ſi che taceſſe,
     E che di patienza il ſreno roppe
     Le mani adoſſo con furor gli meſſe,
     Ma le parole mie parerui troppe
     Potriano homai ſé piú ſé ne diceſſe,
     Si che finirò il canto, e mi ſia ſpecchio
     Quel ch p troppo dire accade alvecchio.