Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/474

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 [124]
E prima fa che’l Re co ſuoi baroni
     Di calda cera l’orecchia ſi ferra
     Accio che tutti, come il corno ſuoni
     Non habbiano a ſuggir ſuor de la terra,
     Prende la briglia e ſalta ſu gli arcioni,
     De l’Hippogrypho & il bel corno afferra
     E con cenni allo Scalco poi commanda,
     Che riponga la menſa e la viuanda.

 [125]
E coſi in vna loggia s’apparecchia
     Con altra menſa altra viuanda nuoua,
     Ecco l’Harpie che fan l’uſanza vecchia
     Aſtolfo il corno ſubito ritroua,
     Gli augelli che nò han chiuſa l’orecchia
     Vdito il ſuon, non puon ſtare alla proua
     Ma vanno in ſuga pieni di paura
     Ne di cibo ne d’altro hanno piū cura.

 [126]
Subito il Paladin dietro lor ſprona
     Volado eſce il deſtrier ſuor de la loggia
     E col cartel la gran citta abandona
     E per l’aria, cacciando i moſtri, poggia,
     Aſtolfo il corno tuttauolta ſuona
     Fuggon l’Harpie verſo la Zona roggia,
     Tanto che ſono all’altiffimo monte
     Oue il Nilo ha: ſé I alca luogo ha: ſonte.

 [127]
Quaſi de la montagna alla radice
     Entra ſotterra vna profonda grotta:
     Che certiſſima porta eſſer ſi dice
     Di ch’allo’ nſerno vuol ſceder talhotta,
     Quiui s’è quella turba predatrice
     Come in ſicuro albergo, ricondotta,
     E giū ſin di Cocito in ſu la proda
     Scefa, e piū la doue quel ſuon non oda.

 [128]
All’infernal caliginoſa buca
     Ch’apre la ſtrada a chi abandona il lume
     Fini l’horribil ſuon l’inclyto Duca
     E ſé raccorre al ſuo deſtrier le piume:
     Ma prima che piū inanzi io lo conduca
     Per non mi dipartir dal mio coſtume,
     Poi che da tutti i lati ho pieno il ſoglio
     Finire il canto: e ripoſar mi voglio.


CANTO XXXIIII



 [1]

O
Famelice inique e ſiere Harpie

     Ch’all’accecata Italia e d’error piena
     Per punir ſorſè antique colpe rie
     In ogni menſa alto giudicio mena,
     Innocenti fanciulli e madri pie
     Caſcan di fame, e veggon ch’una cena
     Di queſti moſtri rei tutto diuora
     Ciò che del viuer lor foſtegno ſora,

 [2]
Troppo fallo chi le ſpelonche aperſe
     Che giā molt’anni erano ſtate chiuſe,
     Onde il fetore e l’ingordigia emerſe
     Ch’ad ammorbare Italia ſi diffuſe,
     Il bel viuere allhora ſi ſummerſe
     E la quiete in tal modo s’eſclufe
     Ch’in guerre in pouerta ſemp: e I affanni
     E dopo ſtata, & e per ſtar molt’anni.