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Fin ch’ella vn giorno a i neghitoſi ſigli
Scuota la chioma, e cacci ſuor di Lethe,
Gridando lor, non ſia chi raſſimigli
Alla virtú di Calai e di Zete?
Che le menſe dal puzzo e da gli artigli
Liberi, e torni a lor monditia liete?
Come eſſi giá quelle di Phineo, e dopo
Fé il Paladin quelle del Re Etiopo.
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Il Paladin col ſuono horribil venne
Le brutte Harpie cacciado í ſuga e í rotta
Tanto ch’a pie d’un monte ſi ritenne
Oue eſſe erano entrate in vna grotta,
l’orecchie attente allo ſpiraglio tenne
E l’aria ne ſenti percoſſa e rotta
Da piati e d’urli e da lamèto eterno
Segno euidente quiui eſſer lo’nferno.
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Aſtolfo ſi penſo d’ entrami dentro
E veder quei e’ hanno perduto il giorno,
E penetrar la terra fin’ al centro
E le bolgie inſernal cercare intorno,
Di che debbo temer (dicea) s’io v’étro?
Che mi poſſo aiutar ſempre col corno.
Faro ſuggir Plutone e Sathanaffo
E’l Can trifauce leuero dal paſſo.
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De l’alato deſtrier preſto diſceſe
E lo laſcio legato a vn’arbuſcello,
Poi ſi calo ne l’antro, e prima preſe
Il corno, hauèdo ogni ſua ſpeme in qllo,
Non andò molto inanzi, che gli oſſeſe
Il naſo e gliocchi vn ſumo oſcuro e fello
l’in che di pece graue e che di zolfo
Nò ſta d’adar per queſto inazi Aſtolfo.
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Ma quanto va piú inanzi, piú s’ingrofla
Il ſumo, e la caligine, e gli pare
Ch’ andare inanzi piú troppo non poſſa
Che fará ſorza a dietro ritornare,
Ecco non fa che ſia, vede far moſſa
Da la volta di fopra, come fare
Il Cadauero appeſo al vento ſuole,
Che molti di, ſia ſtato all’acqua e al Sole.
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Si poco e quaſi nulla era di luce
In quella affumicata, e nera ſtrada
Che no cOprende, e nò diſcerne il Duce
Chi queſto ſia che ſi per l’aria vada,
E per notitia hauerne, ſi conduce
A dargli vno o duo colpi de la ſpada
Stima poi ch’uno ſpirto eſſer ql debbia
Che gli par di ferir fopra la nebbia.
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Allhor ſenti parlar con voce meſta,
Deli ſenza fare altrui danno giú cala,
Pur troppo il negro ſumo mi moleſta
Che dal fuoco inſernal qui tutto ef hala:
Il Duca ſtupefatto allhor s’ arreſta
F. dice all’ombra: ſé Dio tronchi ogni ala
Al ſumo, ſi ch’a te piú non afeenda
Non ti diſpiaccia che’l tuo ſtato intenda,
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E ſé vuoi che di te porti nouella
Nel mondo ſu, per ſatisfarti ſono,
l’ombra riſpofe, alla luce alma e bella
Tornar p fama anchor ſi mi par buono,
Che le parole e ſorza che mi ſuella
Il gran deſir e’ ho d’ hauer poi tal dono:
E che’l mio nome e l’eſſer mio ti dica
Ren che’l parlar mi ſia noia e fatica.