Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/580

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 [92]
Anzi tutta l’Italia che con lei
     Fia triumphante, e ſenza lei captiua:
     Vn Signor di Coreggio di cortei
     Con alto ſtil par che cantando ſcriua,
     E Timotheo l’honor de Bèdedei:
     Ambi faran tra l’una e l’altra riua
     Fermar al ſuon de lor ſoaui plettri
     Il fiume oue ſudar gli antiqui elettri,

 [93]
Tra queſto loco e quel de la colonna
     Che ſu ſculpita in Borgia com’è detto:
     Formata in alabaſtro vna gran donna
     Era di tanto e ſi ſublime aſpetto
     Che ſotto puro velo in nera gonna
     Senza oro e geme in vn veſtire ſchietto
     Tra le piú adorne non parea men bella
     Che ſia tra l’altre la Cyprigna ſtella.

 [94]
Non ſi potea ben contemplando ſilo
     Conoſcer ſé piú graſia o piú beltade:
     O maggior maeſta foſſe nel viſo:
     O piú inditio d’ingegno: o d’ honeſtade
     Chi vorrá di coſtei (dicea l’inciſo
     Marmo) parlar quanto parlar n’ accade:
     Ben torra impreſa piú d’ ognaltra degna
     Ma no perho ch’a ſin mai ſé ne vegna.

 [95]
Dolce quantunq; e pien di graſia tanto
     Foſſe il ſuo bello e ben ſormato ſegno:
     Parea ſdegnarſi, che con humil canto
     Ardiſſe lei lodar ſi rozo ingegno
     Com’era quel che ſol fenz’ altri a canto
     (No ſo perche) le ſu fatto foſtegno:
     Di tutto’l reſto erano i nomi ſculti
     Sol queſti duo l’artefice hauea occulti.

 [96]
Fanno le ſtatue in mezo vn luogo tondo
     Che’l pauimento aſciutto ha di corallo,
     Dí ſreddo ſoauiſſimo giocondo
     Che rendea il puro e liquido chryſtallo
     Che di ſuor cade in vn canal fecondo:
     Che’l pratoverde, azurro, biáco, e giallo
     Rigando ſcorre per vari ruſcelli,
     Grato alle morbide herbe e a gli arbuſcelli

 [97]
Col corteſe hoſte ragionando ſtaua
     Il Paladino a menſa, e ſpeffo ſpeffo
     Senza piú diſſerir, gli ricordaua,
     Che gli atteneſſe quanto hauea .pmeſſo:
     E adhor adhor mirandolo, oſſeruaua
     C hauea di grade affanno il cor oppſſo,
     Che nò può ſtar mometo che no habbia
     Vn cocente ſoſpiro in ſu le labbia.

 [98]
Speſſo la voce dal diſio cacciata
     Viene a Rinaldo ſin preſſo alla bocca,
     Per domandarlo, e quiui raffrenata
     Da corteſe modeſtia ſuor non ſcocca,
     Hora eſſendo la cena terminata
     Ecco vn donzello a chi l’ufficio tocca:
     Pon ſu la menſa vn bel napo d’ or ſino
     Di ſuor di geme e dentro pien di vino.

 [99]
Il Signor de la caſa allhora alquanto
     Sorridedo, a Rinaldo leuo il viſo,
     Ma chi ben lo notaua: piú di pianto
     Parea e’ haueſſe voglia che di riſo,
     Diſſe, hora a quel che mi ricordi tanto
     Che tempo ſia di ſodisſar m’e auiſo
     Moſtrarti vn paragon ch’eſſer de grato
     Di vedere a ciaſcun e’ ha moglie allato.