Pagina:Ariosto - Satire, 1809.djvu/15

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PRIMA 9

Di cinque, che noi siam, Carlo è nel regno,
     Onde cacciaro i Turchi il mio Cleandro;
     E di starvi alcun tempo fa disegno.
Galasso vuol ne la città di Evandro
     Por la camicia sopra la guarnaccia:
     E tu sei col Signore ito, Alessandro.
Ecci Gabriel, ma che vuoi tu, ch’ei faccia?
     Che da fanciul restò per mala sorte
     De li piedi impedito e de le braccia.
Egli non fu nè in piazza mai, nè in corte;
     Ed a chi vuol ben reggere una casa,
     Questo si può comprendere, che importe.
A la quinta sorella, che è rimasa,
     È di bisogno apparecchiar la dote,
     Che le siam debitori, or che si accasa.
L’età di nostra madre mi percuote
     Di pietà il cor, che da tutti in un tratto
     Senza infamia lasciata esser non puote.
Io son di dieci il primo, e vecchio fatto
     Di quaranta quattr’anni, e il capo calvo
     Da un tempo in qua sotto la cuffia appiatto.
La vita, che mi avanza, me la salvo
     Meglio, ch’io so: ma tu, che diciott’anni
     Dopo me t’indugiasti a uscir de l’alvo,
Gli Ungari a veder torna, e gli Alemanni;
     Per freddo e caldo segui il Signor nostro;
     Servi per amendue, rifà i miei danni.