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Pagina:Ariosto - Satire, 1809.djvu/35

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TERZA 29

E dopo ancor, quando levaro il collo
     Medici ne la patria; e il Gonfalone,
     Fuggendo del palazzo, ebbe il gran crollo;
E fin, che a Roma s’andò a far Leone,
     Io gli fui grato sempre, e in apparenza
     Mostrò amar più di me poche persone.
E più volte Legato, ed in Fiorenza
     Mi disse, che al bisogno mai non era
     Per far da me al fratel suo differenza.
Per questo parrà altrui cosa leggiera,
     Che stando io a Roma, già m’avessi posta
     La cresta dentro verde, e di fuor nera.
A chi parrà così, farò risposta
     Con uno esempio: leggilo, che meno
     Leggerlo a te, che a me scriverlo, costa.
Una stagion fu già, che sì il terreno
     Arse, che ’l Sol di nuovo a Faetonte
     De ’ suoi corsier parea aver dato il freno.
Secco ogni pozzo, secco era ogni fonte;
     Li stagni, i rivi, e i fiumi più famosi
     Tutti passar si potean senza ponte.
In quel tempo d’armenti, e de’ lanosi
     Greggi, io non so s’io dico ricco, o grave
     Era un pastor fra gli altri bisognosi;
Che poi che l’acqua per tutte le cave
     Cercò in darno, si volse a quel Signore,
     Che mai non suol fraudar, chi in lui fede have;