Pagina:Ariosto - Satire, 1809.djvu/37

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TERZA 31

Veggio, che dietro a gli altri mi rimagno:
     Morrò di sete, quando non procacci
     Di trovar per mio scampo altro rigagno.
Cugin, con questo esempio vo’ che spacci
     Quei, che credon, che ’l Papa porre innanti
     Mi debba a Neri, a Vanni, a Lotti,e a Bacci.
I nipoti, e i parenti, che son tanti,
     Prima hanno a ber; poi quei, che l’ajutaro
     A vestirsi il più bel di tutti i manti.
Bevuto ch’abbian questi, gli fia caro,
     Che beano quei, che contra il Soderino
     Per tornarlo in Firenze si levaro.
L’un dice: io fui con Pietro in Casentino,
     E d’esser preso e morto a risco venni:
     Io gli prestai denar, grida Brandino.
Dice un altro: a mie spese il frate tenni
     Un anno, e lo rimessi in veste e in arme;
     Di cavallo, e d’argento gli sovvenni.
Se fin, che tutti beano, aspetto a trarme
     La volontà di bere; o me di sete,
     O secco il pozzo d’acqua veder parme.
Meglio è star ne la solita quíete,
     Che provar, s’egli è ver, che qualunque erge
     Fortuna in alto, il tuffa prima in Lete.
Ma sia ver, se ben gli altri vi sommerge,
     Che costui sol non accostasse al rivo,
     Che del passato ogni memoria asterge.