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40 SATIRA

E questo in tanto tempo è il primo motto,
     Ch’io fo a le Dee, che guardano la pianta,
     De le cui fronde io fui già così ghiotto.
La novità del loco è stata tanta,
     C’ho fatto, come augel, che muta gabbia,
     Che molti giorni resta, che non canta.
Sigismondo cugin, che taciuto abbia
     Non ti meravigliar, ma meraviglia
     Abbi, che morto non sia ormai di rabbia,
Vedendomi lontan cento e più miglia,
     E m’abbian monti, e fiumi, e selve escluso
     Da chi tien del mio cor sola la briglia.
Con altre cause e più degne mi scuso
     Con gli altri amici (a dirti il ver); ma teco
     Liberamente il mio peccato accuso.
Altri, a chi lo dicessi, un occhio bieco
     Mi volgerebbe addosso, e un muso stretto:
     Guata poco cervel, poi diría seco.
Degno uom, da chi esser debba un popol retto,
     Uom, che poco lontan da cinquant’anni
     Vaneggi ne i pensier di giovinetto.
E direbbe il Vangel di San Giovanni;
     Che se ben erro, pur non son sì losco,
     Che ’l mio error non conosca, e ch’io no ’l danni.
Ma che giova, s’io il danno, e s’io ’l conosco?
     Se non ci posso riparar? ne trovi
     Rimedio alcun, che spenga questo tosco?