Pagina:Ariosto - Satire, 1809.djvu/63

Da Wikisource.

QUINTA 57

Voglio che si contenti de la faccia,
     Che Dio le diede, e lasci il rosso e ’l bianco
     A la Signora del Signor Ghinaccia.
Fuor che lisciarsi, un ornamento manco
     D’altra ugual gentildonna ella non abbia:
     Lisci non vo’, nè tu, credo, il vogli anco.
Se sapesse Ercolan dove le labbia
     Pon, quando bacia Lidia, avría più a schivo,
     Che se baciasse un cul marcio di scabbia.
Non sa che ’l liscio è fatto col salivo
     De le Giudee, che ’l vendon, nè con tempre
     Di muschio ancor perde l’odor cattivo?
Non sa che con lo sterco si distempre
     De’ circoncisi lor bambini il grasso
     D’orride serpi, che in pastura han sempre?
Oh! quante altre sporcizie a dietro lasso,
     Di che s’ungono il viso quando al sonno
     Si dà lo steso fianco e il ciglio basso.
Sì che quei, che le baciano, ben ponno
     Con men schivezza e stomachi più saldi
     Baciar lor anco a nuova Luna il conno.
Il solimato e gli altri unti ribaldi,
     Di che ad uso del viso empion gli armari,
     Fan che sì tosto il viso lor s’affaldi:
O che i bei denti, che già fur sì cari,
     Lascin la bocca fetida e corrotta,
     O neri e pochi restino e mal pari.