Ma, perchè meglio e più sicuro ei vada,
Desidero ch’egli abbia buone scorte,
Che sien de la medesima contrada.
Non vuol la mia pigrizia, o la mia sorte,
Che del tempio d’Apollo io gli apra in Delo,
Come gli fei nel Palatin, le porte.
Ahi! lasso, quando ebbi al Pegàseo melo
L’età disposta, e che le fresche guancie
Non si vedeano ancor fiorir d’un pelo,
Mio padre mi cacciò con spiedi e lancie
(Non che con sproni) a volger testi e chiose;
E m’occupò cinque anni in quelle ciancie.
Ma poi che vide poco fruttuose
L’opre, ed il tempo in van gittarsi, dopo
Molto contrasto, in libertà mi pose.
Passar vent’anni io mi trovava, ed uopo
Aver di pedagogo; che a fatica
Inteso avrei quel che tradusse Esopo.
Fortuna molto mi fu allora amica,
Che m’offerse Gregorio da Spoleti,
Che ragion vuol ch’io sempre benedica.
Tenea d’ambe le lingue i bei secreti;
E potea giudicar se miglior tuba
Ebbe il figliuol di Venere, o di Teti:
Ma allora non curai saper di Ecuba
La rabbiosa ira, e, come Ulisse a Reso
La vita a un tempo ed i cavalli ruba;