Pagina:Ariosto - Satire, 1809.djvu/9

Da Wikisource.

PRIMA 3

E non mi nocerebbe il freddo solo,
     Ma il caldo de le stufe, c’ho sì infesto,
     Che più, che da la peste, me gl’involo.
Nè il verno altrove s’abita, in cotesto
     Paese vi si mangia, giuoca, e bee,
     E vi si dorme, e vi si fa anco il resto.
Chi quindi vien, come sorbir si dee
     L’aria, che tien sempre in travaglio il fiato,
     De le montagne prossime Rifee?
Dal vapor, che dal stomaco elevato
     Fa catarro a la testa, e cala al petto,
     Mi rimarrei una notte soffocato:
È il vin fumoso a me via più interdetto,
     Che ’l tosco; costì a inviti si tracanna,
     E sacrilegio è non ber molto e schietto.
I cibi tutti son con pepe e canna
     Di Amomo, e d’altri aromati, che tutti,
     Come nocivi, il medico mi danna.
Qui mi potresti dir, ch’io avrei ridutti,
     Ove sotto il cammin sedería al foco,
     Nè piè, nè ascelle odorerei, nè rutti;
E le vivande condiriami il cuoco,
     Come io volessi, ed inacquarmi il vino
     Potre’ a mia posta, e nulla berne, o poco.
Dunque voi altri insieme, io dal mattino
     A la sera starei solo a la cella,
     Solo a la mensa, come un Certosino?