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D’ARISTOFANE. | 94 |
remo noi quest’huomo?
- De.
- Cerchiamolo.
- Ni.
- Ma costui viene, come che dio voglia, in piazza.
- De.
- O felice Allantopole vien quà, vien quà caro fraello, vien su, che sei paruto à la cità, anchor de noi conservatore.
- Al.
- Che cosa gli è? perche mi chiamate?
- De.
- Vien quà, che saperai, quanto hai buona sorte, e che molto sei felice.
- Ni.
- Vien mò, metti giu il suo scagno, e rinsegnaci come stà esso oracolo de’l dio, e io me ne vado à far la guardia a’l Paflagone.
- De.
- Horsu tu pon giu prima i vasi in terra, poi bascia la terra, e prega i dei.
- Al.
- Ecco, che gli è?
- De.
- O beato tu, ò ricco, ò tu che hoggi sei da niente, domane sarai molto grande, ò duce de gli Ateniesi fortunati.
- Al.
- Che non mi lasci tu ò compagno, lavare i ventricelli, e vendere le trippe? hor tu mi dai ciancie?
- De.
- O pazzo, che ventricelli? hor guarda, veditu le squadre di questi popoli?
- Al.
- Vego.
- De.: Di tutti questi tu sarai signore, e de’l foro, e d’i porti, e de la concione, il concilio calcherai, e i capitani romperai, li tenerai legati, li farai stare in prigione, ne’l Pritaneo potrai cortigianare.
- Al.
- Io?
De.