Pagina:Aristofane - Commedie, Venezia 1545.djvu/217

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Al.
Certo questo non ti è grave servarti il culo, et pasentare i movesti. et non si può fare, che non havendo invidia, gli habi pacificati, à ciò che non diventassino retori? vedendo poi costui tanto tempo non havere vestimenta, non hai mai pensato che'l popolo sia degno d'una vestazzuola, essendo d'inverno. et io ti dò questa.
Po.
Ta'l cosa Temistocle mai hà escogitato, benche savio fosse et dotto, et quello il Pireeo, non di meno la escogitation non mi pare magiore de la veste.
Cl.
Oime sventurato, con che sorte d'inganni mi persegui tu?
Al.
Non, ma quel che bevendo l'huomo hà patito, quando hà voglia di cacare. i tuoi modi adoperiamo à guisa di suole.
Ct.
Ma di lusinghe non mi vincerai, però che io questo medesimo mi vestirò. et tu piangi ò tristo.
Po.
Oime, non, và à le forche, tu ti marcisci, spuzzando fortemente di corame.
Al.
E questo à posta s'ha vestito per soffocarti, et altre volte t’hà agguattato. sai quel Tirso degno, esser stato fatto di balsamo?
Po.
Lo sapiamo certamente.
Al.
A bella posta costui cercava con freta di farsi degno, à ciò che comprando mangiaste: et che poi i giudici pettezzando in Heliea trà loro s'ammazzassino.
Po.
Per Nentuno, et à me questo dice l’huomo che è