Pagina:Aristofane - Commedie, Venezia 1545.djvu/413

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LA PACE


sto maledetto inchinatosi mangia, come luttatore gittatosi fuora i ganassali, e batte la testa, e le mani et à che guisa? e circõmenandole, come faciono quelli che tranno le grosse corde per le navi, cosa sordida, e di male odore, e edace, e di che dio è mai tale agiunta?

Ser.
Non sò. di Venere già non mi pare, manco de le gratie. è di costui, non che’l sia mostro, di Giove pervio.
Alt.
Hor alcuno de gli spettatori dirà, il giovane pare esser savio, poi che cosa è questa? à che poi il Cantaro? poi gli dice un’huomo ionico (penso però che dica oscuramente sopra di Cleone) che lui sanza vergogna mangia il sterco humano, ma intrando darò da bevere a’l Cantaro.
Ser.
Dirò io il parer mio sopra questi putti, e huominuzzi, e huomini, et sopra à quelli che s’essaltano d’essere da piu di costoro. il mio patrone ha una frenesia nuova, non come voi, ma à un’altro modo nuovo. guardando ne’l cielo di giorno così sbadachiando riprende Giove, e dice. Giove che pensitu di far? metti giu la scova, non scovar la Grecia, lascia, lascia stare. Tacete che mi par di udirlo.
Tri.
che vuoi tu far ò Giove a’l popol nostro? non saperai che guastarai la cità?
Ser.
Ecco il male ch’io diceva. udite un’essempio di matezza, come un luttatore che dice quando gli