Pagina:Aristofane - Commedie, Venezia 1545.djvu/63

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Fid.
Dimi mò, che comanditu?
Str.
Et che? farai à mio modo?
Fid.
Io 'l farò per il dio Bacco.
Str.
Horsu mò risguarda: vedi tu questa portella, e questa casetta?
Fid.
Vedo. che cosa è questa dunque. dimi 'l vero ò padre.
Str.
Questa è la scuola de gentili, e savi spiriti: quivi habitano huomini, che dicendo persuadono che 'l cielo è un forno, et è questo à torno à noi, noi poi carboni. questi insegnano, se alcuno dà argento, ò danari, colui che dice, vincere le giuste, et ingiuste cose.
Fid.
Che sono poi?
Str.
Non so bene il nome loro. fanno guarire i pensieri. sono da bene, sono honesti.
Fid.
Oh oh tristi, so bene, e tu dici quelli che sono soperbi, pallidi, et discalzi. de quali gli è quel diavol di Socrate, et Cherefonte.
Str.
Ah ah taci, non dir niente da stolto. ma se tu ha qualche cura de le farine del padre, di questi diventami, lasciando la cavalleria.
Fid.
Non già per Dionisio, se tu mi dessi fasiani, che Leogora nutrisce.
Str.
Và, tene prego, che à me sei più caro di tutti gli huomini, come sei là, ti sarà insegnato.
Fid.
Che t'impararò io?
Str.
Si dice che loro hanno due parole, una ch'è miglio-