Pagina:Arrighi - La scapigliatura e il 6 febbrajo, Milano, Redaelli, 1862.djvu/289

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— Ebbene, sarò io che glielo dirò... Io penserò a proteggerla. La condurrò presso una signora nel frattempo, e la sua riputazione sarà salva. Intanto andrò io a parlare a suo marito, e posso prometterti, Emilio, posso giurarti che egli si cangerà interamente, quando gli avrò parlato io... Non posso dirti di più... ma in nome di Dio, se hai per me un resto solo di riconoscenza e di amore... dammi ascolto, dammi ascolto.

Il tutore parlava con un’enfasi così sincera, con un’ansia così persuasiva, che Emilio ne fu scosso nel profondo. E quel non so che di misterioso che si nascondeva nelle sue parole, gli accresceva a mille doppi nel cuore l’emozione...

Un orribile sospetto gli aveva già attraversata la mente... ma lo aveva ricacciato tosto da sè come una cosa impossibile, come una tentazione di delitto.


In questo punto una voce senile e sconosciuta che chiedeva il permesso di entrare, gli giunse all’orecchio dall’anticamera, e interruppe il corso dei suoi pensieri...

Emilio si levò, mise fuori la testa e vide nel vano dell’uscio d’ingresso rimasto aperto, due sconosciuti nell’attitudine di chi sta per venir innanzi.

— Di chi cercano? — chiese il giovine andando loro incontro e aguzzando su di essi le ciglia.

— Del signor Emilio Digliani; — rispose quello che si presentava primo, togliendosi il cappello.

E nello stesso tempo, dato due passi innanzi, avea scoperto il compagno che gli stava a tergo.